venerdì 27 giugno 2008

Erase and Rewind. (Esperimento)

Il signor P. era seduto in mezzo alla sua stanza fissando la superficie dei muri della sua stanza.
Il signor P., o almeno è quello che si ricordava essere il suo nome anche se il resto delle lettere li risultavano ancora un segreto visto che nessuno lo chiamava per nome, continuava a fare scorrere il suo sguardo lungo tutta l'area colorata.
Non riusciva a dare un nome a quel colore, ne a quell'oggetto che immediatamente contrastava con esso.
Ricomincio a dondolarsi, questo lo faceva sentire bene, e dipingeva sul suo volto un lieve sorriso.
Oramai ogni giorno sempre meno i suoi occhi potevano dare un identità a quello che lo circondava, nonostante i gesti più automatici, quelli comuni e stabili, ancora resistevano coraggiosamente nella sua mente in una guerra che oramai era già stata persa in anticipo, come quando c'erano le esplosioni.
Quanto erano belle quelle esplosioni se le vogliamo prendere come eventi distaccati.
Il Signor P. si alzo' dalla sedia.
Il signor P. nonostante i suoi demoni, era felice in quel piccolo spazio, dove tutto era semplice, e di nuovo provo' a camminare in tondo per osservare, ma le parole non si rialzavano dalla terra della sua psiche, come quei corpi esanimi, tutte quelle persone, le macerie ed il più totale silenzio, e le pelli di porcellana, la neve di cenere, quante statue perfette a modo loro.

La sua piccola passeggiata di pochi metri ripetuti si fermo' perché ogni volta che lo sconforto si impossessava di lui, ogni volta che l'impotenza lo divorava, lui trovava il suo appiglio, il rifornimento finale delle sua abitudini, la base madre che ancora non era caduta sotto le grinfie di quei demoni.
Vi aveva attaccato un foglietto per non scordare mai il nome, anche se sgualcito, era rimasto uno dei pochi biglietti a restare incollato, senza volare via perdendo la sua posizione, la scritta era netta a pennarello nero: Pianoforte.

Tutto ciò che lo circondava perdeva l'importanza che lui cercava incessantemente di dargli.

Il Signor P. si sedette e socchiuse per un attimo gli occhi, il silenzio intorno a lui veniva interrotto solamente dai precisi battiti delle sentinelle cittadine biomeccaniche, s.c.b., una sigla che in quel momento non aveva più importanza, più nessuna importanza.
Finalmente le sue mani si appoggiarono sui tasti, non si ricordava da quanto tempo non suonava ovviamente, ma sapeva che inconsciamente le mani sarebbero andate da sole, e li avrebbero regalato una di quelle poche cose che ancora riusciva a provare.

La prima nota spezzo' il silenzio e il signor P. quasi si sorprese, perché il lieve sorriso oramai si era allargato, e come un bambino, il signor P. si ricordava ancora vagamente di essere stato un bambino, inizio' ad emettere un infantile ed emozionata risata. Quella canzone era semplicemente perfetta, e come un incantesimo di cui non si conoscono i segreti arcani, prendeva vita riempiendo tutta la stanza asettica e vuota, che diventava un unico piccolo contenitore delle meraviglie del Signor P.
Quei tasti familiari, quella gioia e malinconia, quel volto.
Cercare il suo nome era evidentemente una delle sfide più grandi del conflitto interno del Signor P. ma anche se non vinceva quella battaglia, accettava di buon grado di poterla rinvitare tra le macerie della sua mente e danzare sorvolando ogni lama di dolore o gli incubi neri delle paludi sottostanti.
La sua voce carica di emozione e gutturale accompagnava il valzer come un solido animale, e i piedi iniziarono a seguire il ritmo del pezzo battendo forte a terra.


Il Signor P. oramai era troppo felice per poter pensare alle macerie, alle esplosioni, a quelle luci cosi belle che li avevano illuminato il volto, lui in questo momento stava ballando con la donna più bella che i 9 continenti avessero mai visto.

Era giunto il momento del gran finale, l'ultima strofa, la più maestosa le mani ballavano cosi come le sue fantasie ed i morti viventi dei suoi ricordi.

Il ballo stava arrivando alla fine, ma lei non sorrideva, lei la più meravigliosa, lei la più desiderata, aveva smesso di ballare e guardava il signor P. spalancando gli occhi.

Ma non era cosi che doveva andare.
La sua voce smise di emettere quei suoni gravi e felici.
Perché quel colore colava dalla sua testa?
Perché Lei aveva aperto la bocca e toccava i suoi capelli cosi soffici?
Il signor P. non capiva voleva ballare, saltare, urlare con la gioia di vivere e ricordare che aveva dentro di se.

E poi avvenne.
Il rumore del suo respiro.
Le note non si susseguivano più.
Gli occhi fissi al suolo.
Un lungo potente e disumano urlo usci fuori dalla sua bocca, le mani iniziarono a battere forte sulla sua testa, perse il controllo del suo corpo e cadde a terra.
Il Signor P. nelle sue convulsioni finalmente aveva ricordato un unica cosa.
Il Signor P. aveva rivisto quando loro erano arrivati, e tutti quei meravigliosi colori e le pelli di porcellana ed i pianti e le urla ed infine, come gran finale nella composizione dei suoi pensieri, il potente silenzio scandito dalle sentinelle cittadine biomeccaniche.
Il Signor P. aveva smesso di urlare e si rialzo'.

Il Signor P. si sedette sulla sua sedia, in mezzo alla stanza e si chiese di che colore fosse la superficie dei muri della sua stanza, ma non riusciva proprio a ricordarsi come si chiamava quel colore.



2 commenti:

fede ha detto...

Perchè scrivere gli altri post, quando sei in grado di scrivere cose così?

Jacopo ha detto...

ahahaah
grazie fede, lo prendero come un complimento,
ma ci tengo anche alle mie altre "trasmissioni", semplicemente sono pagine diverse!